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Antonio Mari, Napoli 28/06/1931 Intervista realizzata: in data 20/10/2002 e in data 10/02/2004.
Innanzi
tutto mi presento: mi chiamo Antonio Mari sono nato nella zona di
Fuorigrotta ed esattamente al Rione Duca d’Aosta, oggi via Gabriele
Rossetti, nel mese di giugno del 1931, ho quindi settantatre anni e sono il quinto
di una famiglia composta da sei maschi e una femmina, ultima, la quale se
non fosse arrivata, oggi sicuramente conterei una dozzina di fratelli,
perché era la mentalità dell’epoca di avere a tutti i costi una
femminuccia per fare compagnia alla mamma, così si diceva allora,
scartando quindi i maschi non idonei a fare compagnia ai genitori. Ringraziando il Signore Dio oggi,
anno 2004 siamo ancora tutti viventi ed in discreto stato di salute,
compatibile con l’età, visto che il primo mio fratello oggi conta
ottantuno anni e la sorella, ultima, ha sessantanove anni ed è stata ed è la più coccolata
da noi. Mi è stato chiesto, da due
insegnanti della scuola “Giacomo Leopardi”, insegnante Rosaria Fiorito
e insegnante Maria De Virgiliis, se ero disposto a parlare, nei limiti
dei miei ricordi, della mia infanzia, della scuola che avevo frequentato e
della mia famiglia. L’infanzia mia e dei coetanei di
quell’epoca, si svolgeva nella maniera più serena e tranquilla e i
nostri svaghi erano fatti con pochi giochi fatti artigianalmente in casa.
Uno di questi giochi era il "cerchio", che era un cerchio di legno o di
metallo, (quest’ultimo era prezioso ed era ricavato dal cerchio delle
ruote di vecchie biciclette ed era come avere un’auto fuori serie
rispetto ad una utilitaria) e che si facevano rotolare per tutta la casa
accompagnandoli, quello di legno con una asticella di legno e quello di
metallo con filo di ferro doppio sagomato alla punta. I più grandicelli
potevano fare questo gioco per strada, ma sempre all’interno
dell’isolato o del parco, senza uscire fuori da questi, anche se non
c’era pericolo di essere investito, come è possibile oggi, da qualche
auto visto che all’epoca queste erano proprio poche e le possedevano
solo i benestanti e i professionisti. Si aspettava con impazienza la domenica perché, per le
famiglie che potevano spendere qualche spicciolo di soldi, se ricordo bene
cinque centesimi, si comprava, ma non sempre, il giornalino il Vittorioso
e che veniva letto, anzi direi divorato da chi sapeva leggere, o si
guardavano le figure, i disegni, per quelli che non sapevano leggere, con
sistematica precedenza prima ai fratelli più grandi e dopo ai più
piccoli. Ed era uno dei diversivi
sia per i maschietti che per le femminucce. Altri giochi che si facevano
all’epoca era la "mazza e pivizo" (chi lo ricorda? E come si fa a
spiegare?) che era una specie del moderno baseball americano, ma molto,
molto lontano e con tanta fantasia, fatto però non con la mazza e la
palla come si gioca il baseball originale, ma con un’asta di legno lunga
e una piccola asticella che andava presa e battuta al volo e mandata il più
lontano possibile per poi tornare alla casa base, poi c’era la "corsa con
i tappi "metallici delle bottiglie tipo birra, il gioco delle biglie di
vetro e che si è giocato fino a pochi anni fa, lo "strummolo" (versione
antesignana del moderno...) e infine, ma qui ci voleva la
collaborazione di nostra madre, fare la palla con calze e calzini vecchi
che venivano riempiti di carta o altro, sapientemente arrotolati e cuciti
dalle mani delle nostre
mamme. Con questa eravamo capaci di giocare anche diverse ore, con enormi
sudate e con la minaccia delle nostre mamme di fare scomparire la palla
per evitare che sudassimo. Altri giochi per la mia età non
ne ricordo, perché non c’era la ricchezza e la varietà di giocattoli
che c’è oggi, forse allora per pochi ricchi e che all’epoca non si
conoscevano visto la riservatezza nei rapporti sociali con gli altri e la
vita piuttosto riservata che conducevamo. |
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