Luciana Coppola di Canzano,  Napoli 13/03/1946

Intervista realizzata in data 11/10/2004

 

Mi chiamo Luciana Coppola di Canzano e sono nata a Napoli a marzo del 1946.

Dopo la guerra la mia infanzia è stata un po' particolare, perché mia madre quando io sono nata aveva già 36 anni. Era una donna che proveniva da una famiglia molto altolocata, ed era l’ultima di dieci figli. Ha vissuto molto male la sua infanzia, perché a dieci anni è morto il papà, era un direttore del gas. E quindi questa mamma [la nonna di colei che parla] si è trovata all’improvviso con dieci figli da portare avanti, per cui mia madre è dovuta andare in collegio, quindi ha trascorso la sua giovinezza in collegio, dopodiché non so bene le cose come sono andate, comunque non ha vissuto una vita bella, serena come altre ragazze o come le sue sorelle, che erano già più grandi quando è morto il papà. Per cui ha vissuto poi con la mamma e una sorella, che poi sarebbe mia zia, che era insegnante elementare alla scuola "Giacomo Leopardi". Mia madre quindi a 36 anni ha avuto me e bisogna dire che non era sposata, in quanto, forse, non aveva trovato nessuno finora che l’aveva interessato.

E dovendo fare il concorso al Banco di Napoli, chiese aiuto ad un ingegnere per farsi aiutare in matematica. Purtroppo, questo ingegnere, che era più grande di lei ed era già sposato, ma separato, con un bambino di 12 anni, non disse niente della sua situazione e approfittò praticamente di mia madre. Per cui sembra che abbiano avuto solo un rapporto fugace e mia madre rimase incinta.

La cosa tremenda, diciamo, è riportarci alla situazione del tempo, perché mia madre proveniva da questa nobile famiglia, per cui era maggiormente una situazione quasi scandalosa, da dover eliminare al più presto. Infatti, sembra che mio padre volesse che mia madre abortisse. Lei non ha voluto, anche perché era di sani principi religiosi e quindi da sola ha portato avanti questa gravidanza, senza l’aiuto di nessuno. Quindi vivevo con mia madre e con questa zia signorina a via Piedigrotta. In questa palazzina c’era lo zio, il fratello di sua madre [la nonna dell’intervistata], che era il nobile di questa palazzina, sposato anche lui con figli, e la moglie di questo zio proibì a mia madre di portarmi a casa, una volta nata la bambina o il bambino, non si sapeva, in quanto era scandaloso tenere un bambino in questa palazzina. Allora mia madre portò la gravidanza fino all’ultimo giorno,perché lavorava già al Banco di Napoli e meno male che non la licenziarono, quindi lei fino all’ultimo giorno della gravidanza andò a lavorare e nessuno sapeva niente, si faceva finta di niente, dopodiché ebbe un parto normale con la levatrice. Mi sembra, io nacqui nel quartiere del porto, dopodiché mi levarono a mia madre e mi dettero ad una levatrice che doveva nutrirmi. Mia madre veniva una volta a settimana per vedermi e quindi io ho vissuto, penso, il primo anno con questa levatrice che mi dava solamente a mangiare, cioè mi curava, mia madre portava i soldi e lei tornava a vivere con la mamma e la zia in questa palazzina, che c’era questo ambiente molto chiuso.

Dopo, penso che avessi un anno, un’altra sorella di mia madre, che era pure insegnante elementare ed abitava ad Ottaviano, signorina pure lei, mi venne a trovare e disse che mi trovarono in condizioni brutte, un po' sporca, con animali, cose… e fu talmente il senso di dispiacere che, siccome stava con un’amica, decisero di prendermi loro, e quindi quest’amica che pure era signorina, e già aveva quasi adottato un nipotino, praticamente adottò pure me, adottò nel senso che mi dava il calore di una casa, insomma. Quindi mi tolse da questa levatrice e credo che io intorno ai due anni sono andata a vivere con questa signorina, che pure insegnava e aveva a casa pure questo altro nipotino,  la sorella di me poco si interessava.

Quindi lei la mattina andava a scuola e il pomeriggio… insomma ci ha cresciuto fino ai 5 anni. Quindi io ricordo fino ai 5 anni questa vita passata con questa signora, che io chiamavo “mamma”. Però io ricordo che lei diceva: "Guarda che oggi viene tua madre" infatti, mi sembrava già strano avere due mamme. Infatti veniva la mia vera mamma tutte le settimane e mi portava regali, mi portava cose da mangiare e vestitini, però chiaramente non mi portava l’affetto di una madre e quindi io ho vissuto i miei primi cinque anni bene, tranquilla e serena, perché poi lei aveva un bel giardino, quindi ricordo che ero contenta di andare in giardino. Alle volte la mattina mi portava a scuola sua. Quindi ho vissuto fino ai 5 anni, 5 anni e mezzo abbastanza bene, dopodiché finalmente mia madre ebbe da questa zia, che abitava al piano di sotto, il permesso di portarmi nella loro casa. Quindi dove viveva mia nonna Giulia e mia zia, l’altra sorella di mia madre, Isabella Coppola di Canzano, e questo fu diciamo il momento traumatico della mia vita, perché mi trovai in un ambiente completamente sconosciuto, con persone sconosciute, perché mia madre lo era solamente di fatto, ma non di presenza, e quindi ricordo in questo periodo molto buio, molto triste, in cui io vivevo con queste tre persone anziane, in questa non bellissima casa al secondo piano, però che dava su un terrazzo enorme, per cui l’unico mio sfogo era il terrazzo e questa mamma, diciamo, che mi aveva curata fino ai cinque anni, però continuava a venire. Ricordo che mi portò una bicicletta, quella fu la mia grande felicità, perché io in questo grande terrazzo andavo in bicicletta... il mio spirito di avventura, che parecchie mie amiche conoscono. Quindi io già verso i 6 anni con questa bicicletta andavo perlustrando tutti gli anfratti di questa casa, perché poi c’era una scala che scendeva giù e si andava nel giardino di questo zio, e quindi alle volte io di nascosto scendevo in questo giardino, guardavo l’orto, mi piaceva guardare i fiori e diciamo che l’unica cosa bella è che ci stavano i cugini, che poi sono andati a Roma, che qualche volta venivano e giocavano con me, oppure c’era un’altra cuginetta pure, che veniva da giù ma molto raramente, insomma. Quindi diciamo che fin quando non sono andata a scuola ho vissuto praticamente sola, mia madre mi regalava le bambole, ma come le avevo così le mettevo via, perché non sapevo che farmene, non sapevo giocare con le bambole, non sapevo a che mi servivano le bambole e quindi giocavo con le pietre, giocavo agli indiani, quelli erano i miei giochi, perché non mi interessavano le bambole e niente, poi mia zia mi fece le prove evidentemente a cinque anni e mezzo, e mi ricordo che disse a mia madre: "La bambina non è pronta per affrontare la prima elementare", perché io essendo nata a marzo quindi a ottobre avevo cinque anni e mezzo, però mi ricordo che mia zia, perché io ero stata fino a cinque anni dall’altra parte, quindi, non avevo avuto probabilmente molti stimoli, disse: "No, la bambina non è pronta, quindi iscriviamola un anno dopo". Però lei un pochino si mise vicino a me, mi fece vedere certe cose e, quindi, io ho vissuto poi fino ai nove anni e mezzo in questa casa di via Piedigrotta: io, mia madre, mia nonna e questa zia. Quindi sempre in un ambiente femminile e sono andata poi alla scuola - a sei anni e mezzo -  "Giacomo Leopardi" con una mia zia Isabella. Allora, iniziai la prima elementare a 6 anni e mezzo perché mia zia aveva appunto stabilito che a cinque anni e mezzo non ero ancora matura per affrontare la prima elementare e andai con una insegnante di cui non ricordo il nome e stavo con delle altre amichette e entrai in questa prima elementare.