Paolo Serio, Napoli 26/09/1925

 Intervista realizzata in data 19/03/2004

 

 

La mia famiglia di origine è fuorigrottese. Mio padre, mia madre, ma anche mio nonno era di Fuorigrotta. Abitavamo di fronte alla chiesa di San Francesco, la grotta dell’altro versante non c’era. C’era un tram che da Cavalleggeri andava alla Torretta, si pagavano sei soldi. Non avevamo soldi per prendere il tram e tutti attraversavamo la grotta a piedi; anche noi con mamma per andare a farci i bagni a Mergellina andavamo a piedi sotto la grotta. Mio padre lavorava all’Ilva di Bagnoli e, quando finiva di lavorare, veniva a piedi a Fuorigrotta

Prima che Fuorigrotta venisse demolita e quando nella vecchia chiesa monumentale di San Vitale era sepolto Giacomo Leopardi, ricordo molto bene quando la salma fu trasferita da Fuorigrotta a Piedigrotta. La portarono vicino alla tomba di Virgilio, dall’altro lato della chiesa di Fuorigrotta. Potrei raccontarvi qualche fatterello della famiglia dei Serio. Siccome i miei parenti erano facoltosi, c’erano tra loro quelli che lasciavano tutti i loro averi alla chiesa: tutte le terre di Agnano della famiglia Serio furono lasciate alla Chiesa. C’era un cugino di mio padre, Serio Salvatore, i cui figli sono i proprietari attuali dell’hotel Serius di viale Augusto. Questo cugino, ragazzo molto intelligente, aveva scelto di farsi prete. Conobbe però una ragazza, se ne innamorò e decise di spogliarsi da prete per sposarla. Il Papa gli diede l’autorizzazione e lui si sposò ed ebbe dei figli, ma la famiglia non gli perdonò questa scelta e non volle più frequentarlo. Salvatore Serio si laureò in ingegneria, costruì molti dei palazzi che sono ora lungo il viale Augusto, si laureò anche in medicina ed esercitò presso l’ospedale di via Crispi.

Io abitavo alle spalle della scuola "Leopardi", ci andavo a piedi. Attraversavo un vialetto di campagna per arrivare a scuola. Dovevamo entrare alle 8,45. Se arrivavi alle 8.46, il custode in divisa chiudeva il portone e non ti lasciava entrare e allora bisognava ritornare a casa. Tornare a casa ci metteva paura, perché i nostri genitori potevano pensare che avevamo marinato la scuola, che avevamo fatto filone. Perciò eravamo molto preoccupati e cercavamo sempre di entrare a scuola.

Da un lato entravano i maschi e dall’altro lato le donne. Io non ho mai conosciuto l’ingresso delle donne perché non potevamo avvicinarci da quel lato. Portavamo i grembiuli e i nastri vicino al colletto: i nastri cambiavano colore a seconda della classe che frequentavamo. Si cominciava col rosso in prima, rosa in seconda, blu in terza, verde in quarta e giallo in quinta. Il simbolo numerico della classe era anche cucito sul grembiule. Una volta entrati in classe, c’erano i banchi, si stava a due in quei banchi di legno con i calamai. Se mancava l’inchiostro, il maestro suonava il campanello, veniva il bidello e metteva l’inchiostro. La cartellina si poneva sotto il piano del banco e il giacchettino con la colazione si metteva in degli armadietti. Una volta entrati in classe… in me è rimasto un ricordo profondo del professore. Sì, perché fino in seconda ho avuto una maestra, dalla terza in poi il professore Criscuolo. Ebbene, noi eravamo abituati ad iniziare la giornata recitando le preghiere in piedi e ad alta voce, quando venne il professore e vide che ci mettevamo in piedi e cominciavamo a recitare l’Ave Maria ci disse: "Che cos’è questo? Volete pregare? Recitate le vostre preghiere solo mentalmente in italiano, in dialetto, come le conoscete, e se non le conoscete rivolgetevi al Padre che Lui vi ascolta anche nel pensiero". Da quel momento avevamo un tempo per pregare in silenzio. Lui guardava l’orologio che portava nel taschino, ci dava quattro o cinque minuti.

Se c’era in classe un po' di movimento o se si rumoreggiava (eravamo in trentacinque –trentasei) il professore urlava: "Braccia conserte! Gambe tese! Sguardo fisso in avanti!", e noi dovevamo stare fermi fino a quando non potevamo metterci comodi. Se ci comportavamo bene, durante  l’ultimo quarto d’ora la maestra ci leggeva qualche paginetta di Pinocchio o del libro Cuore. Noi aspettavamo con ansia per sentire il seguito. La giornata cominciava alle 9 e durava fino alle 13. Ci correggevano i compiti. Se qualcuno dava fastidio, veniva messo dietro la lavagna o in ginocchio.

C’era un ragazzo, si chiamava Luigi Troncone, il padre, oliandolo [venditore di olio], vendeva fagioli, formaggi. Di sera ci riunivamo tutti i ragazzi fuori la bottega del padre di Luigi. In classe Luigi era rumoroso, dava fastidio, il professore gli disse che se continuava così, invece di metterlo dietro la lavagna, lo avrebbe chiuso nello stanzino. Nello stanzino c’erano i cappotti con in tasca le colazioni: pane e mortadella oppure pane e provolone. Luigi continuò a dare fastidio e il professore lo chiuse nello stanzino; a mezzogiorno, quando andammo a prendere le colazioni, trovammo il pane senza companatico. Luigi negò d essere stato lui, il maestro lo rinchiuse di nuovo dicendogli che sarebbe venuto il diavolo a cui avrebbe dovuto raccontare la verità. All’una il maestro aprì lo stanzino, Luigi era bianco di paura, a casa non si sentì bene, lo portarono in farmacia, gli fu data una purga, 'ché allora tutti i malori si curavano con la purga. Di sera ci ritrovammo, come al solito vicino alla bottega di Luigi; il padre, un pezzo d’uomo, soprannominato "o pacione" era indaffarato, vicino a noi, - Fuorigrotta allora non era ben illuminata, c'era una persona che ancora nel '931 veniva ad accendere e spegnere i lampioni - vedemmo il professore  e ammutolimmo. Il professore si avvicinò e ci chiese: "Siete in riunione?" -  il padre di Luigi uscì dal negozio e gli chiese: "Tu si’ ‘o pr’fessor’ e mio figlio?" - lo spinse e quello cadde col sedere nel cesto delle uova. “Imbecille! Scostumato!”- gridava e se ne andò togliendosi i gusci di uova rotte dal pantalone. Noi ce ne scappammo tutti per la paura. Luigi fu allontanato da tutte le scuole del Regno per il suo comportamento e per quello del padre.

 C’era il teatro a scuola?

Sì, il giovedì, c’era il filmino, si portavano 2 soldi. Mamma non sempre li aveva. C’erano sempre tre o quattro bambini che non portavano i soldi. Questi non andavano a teatro a vedere il film, restavano in classe con un bidello oppure in un’altra classe. Al ritorno in classe poi gli amici raccontavano quello che avevano visto e chi non ci era andato ci restava male, anche perché erano i primi film. Anche per i quaderni... - c’era a proposito una donna anziana che faceva i peretti - veniva chiamata "Maria la perettara". I peretti erano bottiglie per il vino, larghi giù e col collo affusolato. Donna Maria vendeva anche le castagne lesse e stava all’angolo del vicolo Tavolino che non veniva chiamato più col suo vero nome, ma con l’appellativo “’o vico ‘e Maria ‘a perettara”. Se domandavate a qualcuno di Fuorigrotta dov’era vicoletto Tavolino non ve lo sapevano indicare, se invece chiedevate del vicolo 'e "Maria a perettara" , ve lo indicavano subito. Quando i nostri quaderni erano finiti, li portavamo a Donna Maria, lei in cambio, ci dava un coppetto di carta con tre o quattro castagne lesse e utilizzava i fogli di carta per fare i coppetti. Noi, pur di avere le castagne, le portavamo i quaderni anche quando non erano del tutto finiti.

 I genitori venivano a parlare con gli insegnanti un giorno a settimana, la mattina del giovedì. L’insegnante stava sull’uscio, con la porta semichiusa parlava con i genitori e di tanto in tanto si girava verso di noi per dirci di stare in silenzio. Noi cercavamo di capire cosa si dicessero. Parlavano di come ci comportavamo. La sera se le notizie date dall’insegnante erano buone tutto era tranquillo, se invece erano cattive c’erano richiami.

A scuola c’erano megafoni che mettevano le aule in comunicazione con la direzione. Il direttore De Cristofaro, un bell’uomo, alto, faceva impressione, improvvisamente comunicava che veniva in classe. Allora a sua scelta chiamava qualcuno e gli chiedeva una tabellina o un verbo o un’operazione. Si accertava che il programma fosse stato svolto. Ogni tre mesi avevamo le pagelle che noi portavamo a casa, i genitori le firmavano e noi le riportavamo a scuola. Al terzo trimestre c’era il passaggio di classe, oppure l’esame come in quinta

Nella scuola c’era il fiduciario, era uno del partito, girava in borghese. Tutte le lamentele si portavano a lui che stabiliva chi aveva torto e chi ragione.

All’ingresso, sulla destra c’era l’infermeria, c’era il medico di guardia e un’infermiera. Se ci si faceva male o non ci si sentiva bene, si andava dal medico. C’era la distribuzione dell’olio di fegato di merluzzo: c’erano due bidoni, uno pieno di olio, l’altro pieno di segatura, ci mettevamo in fila, davamo il cucchiaio portato da casa, ci veniva riempito e obbligatoriamente dovevamo berlo, poi il cucchiaio veniva immerso nella segatura, quindi ci veniva ridato, lo rimettevo in un carta di giornale e lo riportavo a casa. Mamma odorava il cucchiaio per accertarsi che avessi preso l’olio, poi lo lavava e me lo ridava il giorno dopo. Era stomachevole. Mamma mi dava un’arancia per mangiarla subito dopo aver preso l’olio. Io, per fare più in fretta, me lo portavo da casa già sbucciata.

Durante le ore li lezione, per andare in bagno, si alzava il dito per chiederne il permesso. Fuori del bagno c’era il bidello che ci sorvegliava anche nei corridoi, dove dovevamo camminare in punta di piedi per non infastidire.

  Andavate in palestra?

 Sì, ci andavamo una volta a settimana: c’era la pertica, il quadro svedese, le parallele. L’insegnante ci portava giù e ci seguiva

 E la cucina?

Non mangiavano tutti, solo i bisognosi. Io avevo il papà che lavorava e non ne avevo il diritto, come non avevo diritto alla divisa scolastica e ai libri. C’era il doposcuola, ma a pagamento; alcuni bambini restavano a scuola anche dopo le 13 con altri insegnanti e con loro facevano i compiti. All’uscita ci si metteva in riga e c’era il saluto al Duce e al Re, all’altezza della statua di Leopardi. Solo dopo il saluto si usciva, e la classe che seguiva restava ferma sulle scale, non scendeva giù se prima non eravamo usciti noi.

C’erano le iscrizioni per le colonie marine, ci andavano quelli che avevano il papà che non lavorava. Io avevo la colonia dello stabilimento a Coroglio, veniva un camioncino a Fuorigrotta e ci prendeva su. Arrivati in Piazza Bagnoli, attraversavamo a piedi lo stabilimento e, una volta sulla spiaggia, ci facevamo il bagno, mangiavamo e al pomeriggio ci riaccompagnavano a Fuorigrotta e i genitori ci venivano a prendere in piazza accanto alla chiesa.

Cosa vedeva fuori scuola?

C’erano diverse bancarelle. Ce n’era una che vendeva astucci di zucchero colorati, i "franfellicchi",che costavano 1 soldo. C’erano anche gnocchi di zucchero, si vendevano pure caramelle d’orzo, zucchero cotto tagliato a quadratini. Con pochi soldi ci davano due o tre di quei quadretti. C’erano i confettini. Noi stavamo tutti intorno alle bancarelle fino alle 8.45, poi facevamo una corsa per imboccare il portone di scuola, prima che il custode lo chiudesse. C’era chi poteva comprare qualche caramella e chi non poteva.

Non c’erano macchine, passavano sì carretti ed erano pericolosi, ma non come oggi. Io andavo a scuola a piedi e da solo, attraversavo un vicolo in mezzo alla campagna detto "do suricillo". Lì c’era la farmacia De Angelis, riattraversava uno spiazzo e si usciva, noi dicevamo "'ncoppa ‘e pigne".

Su ogni porta [a scuola] c’era una lampadina, quando il maestro suonava il campanello, si accendeva anche la lampadina, allora accorreva il bidello che era sempre sull’allerta. Guai se uno di noi minimamente pensava di avvicinarsi al corridoio delle donne: stavano lì come tigri!

C’erano feste importanti a Fuorigrotta?

Sì, la festa di San Vitale. San Vitale aveva una moglie Santa Valeria e due figli, San Gervasio e San Protasio. Durante la festa c’era un carro attrezzato con drappi rossi e colorati e le statue erano collocate su questo carro. Il villaggio veniva illuminato e c’erano le bancarelle che vendevano torroncini, taralli e prima di sera girava un carretto per i negozi. Chi gli offriva un provolone, chi un salame, chi una camicia. La sera dal palco facevano la vendita all’asta: il ricavato era per la chiesa. Il giorno del santo c’era la processione, c’era una gara a chi portava lo stendardo, chi reggeva i fiocchi. Ci si vestiva con i paramenti sacri

Quando si svolgeva questa festa?

Il 28 aprile.

Ricorda i mestieri di quel periodo?

C’era la signora Castaldo che possedeva una catena di macellerie e fabbricati. Quando il signor Mussolini demolì Fuorigrotta non pensò a queste persone, alla loro sorte. In quindici giorni dovettero lasciare le loro case e le loro proprietà che furono demolite con la vana promessa di risarcimento. La signora Castaldo fu ridotta all’elemosina, coabitò con delle persone in via Chiaia. Fu un morire.